
David Foster Wallace si impicca nel 2008, il 12 settembre, a 46 anni.
Quattro anni dopo il suo funerale, il pennino di America Psycho, lo chiama ‘impostore’.
Bret Easton Ellis odia Wallace da un pezzo e non vede l’ora di farlo sapere al mondo.
Sceglie Twitter, per quello che pensa come epitaffio e gli si rivolta contro come un boomerang fatto dello stesso acciaio di una katana koto.
«DFW is the best example of a contemporary male writer lusting for a kind of awful greatness that he simply wasn’t able to achieve. A fraud.»
«Foster Wallace è il migliore esempio di scrittore contemporaneo che sbava per raggiungere il tipo di disgustosa grandezza che non è mai riuscito a conseguire. Un impostore», sbraita, in 139 caratteri (sì, li ho contati).
Sceglie ‘fraud’, dal latino FRAUDEM: frode, truffa, imbroglio.
Ellis va avanti e definisce i lettori di Wallace ‘sciocchi’: «Una generazione che legge i suoi libri solo per sentirsi più intelligente». «Chiunque giudichi Foster Wallace un genio letterario dovrebbe essere incluso nel Pantheon degli imbecilli».
Perché? Perché lo fa?
In “Every Love Story Is a Ghost Story: A Life of David Foster Wallace”, D.T. Max, biografo ufficiale di Wallace, dà la colpa a “La ragazza con i capelli strani”, pubblicato nel 1989: secondo Max (ma soprattutto Ellis), Wallace si sarebbe ispirato a Meno di Zero di Bret Easton Ellis, del 1985.
Wallace ha sempre sostenuto di non averlo letto. E di saperne “Less than zero”.
Ellis non gli crede. Non se la beve. Dice che è suo, che arriva da lui. Che Wallace è un imbroglione.
Wallace, da dove sta adesso, non può rispondere, ma ho la pretesa di credere che pure se potesse, se ne sbatterebbe comunque, preferendo concentrarsi sull’ultimo Miracle Blade o su una qualsiasi altra televendita.
Ora, chi ha la sfiga (che ‘vocazione’ mi fa ridere) di scrivere per mestiere e di camparci, sa – o dovrebbe sapere – come non si scriva mai nulla di nuovo.
Il top della gamma dell’originalità consentita ai mortali, a quelli terrestri, a quelli che conosco – o credo di conoscere – io è una minestra fatta con gli avanzi neurali di ciò che la penna ha visto, letto, sentito, immaginato, creduto di pensare nel corso della sua esistenza.
Finnegans wake a parte, chiaro (anche nella parodia di Eco, “Diario Minimo“).
La minestra può essere buona, fresca, fare bene. Oppure rancida.
Un sacco di minestre fanno schifo.
Il gusto della minestra dipende da un sacco di cose: da cosa contiene, da chi la cucina, da chi e come la serve. Da come sta chi la mangia. Dal palato di chi affonda il cucchiaio e assaggia.
A questo proposito, tornando sulla mia recensione di “Quando cadono le stelle”, di Gianpaolo Serino (“Io, Serino lo odio“), e su un dialogo virtuale recente, nonché su un altro di vecchia data con lo scrittore Daniele Barbone, torno a parlare di lingua.
Per farlo, rubo a quello che Ellis chiama ladro usando la parola ‘fraud’.
Da “Autorità e uso della lingua”, di David Foster Wallace, in “Considera l’aragosta”
(Piccoli Murakami crescono)
“Da un certo punto di vista, la pubblicazione di qualsiasi nuovo libro ben fatto sull’uso dell’americano è sempre accompagnata da una certa ironia. E cioè che persone che si interesseranno a questo libro sono anche quelle che ne hanno meno bisogno – offrire consigli sulle finezze dell’inglese statunitense è come predicare ai convertiti.
Nello specifico i convertiti comprendono quella piccola percentuale di cittadini americani che si preoccupano sinceramente delle condizioni attuali dei doppi modali e dei verbi ergativi.
Lo stesso tipo di persone che hanno seguito the Story of English sulla Pbs (due volte) e che ogni domenica con il loro mezzo decaffeinato leggono la rubrica di Safire. Il tipo di persone che provano quel particolare misto fra un sussulto di disperazione e un sogghigno di superiorità quando leggono CORSIA VELOCE-MAX10 PEZZI o sentono dialogo usato come verbo o si rendono conto che i fondatori della catena di motel Super 8 senza dubbio ignoravano il significato della parola suppurate.
Ci sono molti epiteti per persone del genere: Nazisti della grammatica, Maniaci dell’uso, Snob della sintassi, il Battaglione della grammatica, la Polizia linguistica.
Il termine con cui sono stato cresciuto io è Snob. La parola è forse leggermente autoironica, ma gli altri termini sono disfemismi belli e buoni.
Una definizione ampia di Snob potrebbe essere una persona che sa cosa significa disfemismo e cui non dispiace farvelo capire.
“Faccio presente che noi Snob siamo pressoché l’ultimo tipo rimasto di sfigato monomaniaco veramente elitario.”
Senza dubbio sapreste che la lessicografia ha un ventre molle se leggeste i diversi saggi introduttivi dei moderni dizionari […].
Ma non capita quasi mai che qualcuno si prenda il disturbo di leggere queste piccole introduzioni, e non solo perché sono stampate in corpo sei o perché in genere non è comodissimo tenersi un dizionario sulle gambe.
È perché queste introduzioni in realtà non sono scritte né per me né per voi né per il comune cittadino che si rivolge al Dizionario solo per vedere come si scrive (per esempio) meringue.
Sono scritte per altri lessicografici e critici; e in realtà non sono introduttive per niente, ma polemiche.
Sono scariche a salve nelle Guerre dell’uso, scoppiate quando nel Webster’s Third il curatore Philip Gove cercò per la prima volta di applicare i principi laici della linguistica strutturale alla lessicografia.”
Per DFW, il fu Edwin Newman è il più pacato e meno emorroidale degli Snob popolari. E la condiscendenza di Fowler è quasi himalayana.
Teniamo a mente che la lingua non è nata perché i nostri pelosi antenati se ne stavano seduti nel veldt senza niente di meglio da fare. La lingua è stata inventata per servire certi scopi specifici: «Se batti insieme queste due pietre puoi accendere un fuoco»; «Questo riparo è mio!» e così via.
È evidente che, poiché le comunità linguistiche si evolvono nel corso del tempo, esse scoprono che certi modi di usare la lingua sono migliori di altri- non migliori a priori, ma migliori relativamente agli scopi della comunità.
Se partiamo dal presupposto che uno di questi scopi sia comunicare quali tipi di cibi si possono mangiare e quali no, allora possiamo intuire come, per esempio, un modificatore messo nel posto sbagliato potrebbe violare una norma importante: «Chi mangia quel tipo di fungo spesso si ammala» confonde il destinatario del messaggio, che non capirà se rischia di ammalarsi solo mangiando il fungo spesso o se avrà una buona probabilità di ammalarsi sin dalla prima volta che lo mangia. In altre parole, una comunità fungifaga avrà degli interessi pratici specifici nell’escludere dall’uso accettabile della lingua questo genere di errore nella posizione dei modificatori.
La lingua è stata inventata per servire certi scopi specifici – dice lui, nato, cresciuto e morto sull’Olimpo della parola scritta. Ripetiamo insieme:
La lingua è stata inventata per servire certi scopi specifici.
Ancora: per servire certi scopi specifici.
Se voglio farmi capire, devo prima aver capito da chi.
Ecco perché va bene tutto. Anche una mitragliata di puntini di sospensione, una faccina, una doppia spunta blu senza risposta, uno o mille refusi programmati, un congiuntivo saltato e tutte le parolacce che servono.
E, ancora, ecco perché Serino è un idolo, come il Picasso che schiaffa in spiaggia, come la K puntata che mette sullo sgabello di un bordello (dironderodirondello), come le anatre di Salinger ricordate in Normandia. Serino è un idolo non solo perché la sua minestra è una delizia perché lui è bravo da far schifo (e invidia, pure), ma perché va preso come modello. Va studiato. Serino non va letto: va RILETTO. E mandato a memoria. Oggi. Perché domani potrebbe essere troppo tardi.