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Dialogo tra uno scrittore e un fantasma


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Scrittore: Oh, ma dai, davvero, cioè fammi capire: tu, sul serio, scrivi per altri?

Io: Ah ah.

Scrittore: Ma come faiiiii? Io: Con la tastiera, hai presente? Scrittore: Sì, chiaro, spiritosa. Come ci riesci, intendo? Io: Aspetta: dieci dita su un Mac che sbiumo ogni dodici mesi. Ah, e un programmino fighissimo che si chiama Ulysses, ma solo perché Word fa schifo. Direi che è tutto. Scrittore: E ti pagano? Io: Ah, ah.

Scrittore: Tanto? Io: Ah, ah. Scrittore: Tanto quanto? Io: Abbastanza per sfamarci il branco.

Scrittore: Cioè ci vivi? E non fai altro? Io: Ah, ah. Scrittore: Comunque, giuro, io non capisco.

(Lo vedo)

Io: Cos’è che non capisci? - dico, melliflua. Scrittore: Quelli che si fanno scrivere i libri, per esempio, io proprio non li capisco.

Io: Ah no? E invece chi si fa costruire una casa dal muratore sì? O un impianto elettrico da un elettricista, eh? Chi chiama un elettricista è un impostore? Perché è di questo che parli, o sbaglio?

Scrittore: Cosa c’entra? Mica è uguale, quelli lì sono lavori manuali. Non puoi confrontarli.

Io: Ok, facciamo finta che voglia seguirti. Cosa ne di dici di chi si fa progettare un palazzo da un architetto o un ponte da un ingegnere? O di chi si fa fare una statua da uno scultore o una cappella Sistina da un Michelangelo? E di chi si fa scrivere una sceneggiatura da uno sceneggiatore, eh, cosa mi dici? Tutti imbroglioni?

Scrittore: Ma no, ma no, solo che… a parte questo, per me è inconcepibile*.

Io vorrei dirgli che immagino, ma che se mi dicesse anche cosa, potrei mettere di nuovo in stand-by i neuroni, ché mi si stanno agitando. Dico solo: Immagino, ma sai (modellandomi sul suo tono di voce, idioma e pure postura), chi viene da me, cioè da noi, nove volte su dieci ci arriva più che altro perché non ha tempo o magari metodo; ha qualcosa da scrivere e risorse per pagare qualcuno che scriva per mestiere; non necessariamente è un incapace, o un impostore.

Scrittore: Sarà, ma non sono d’accordo. Io: Vedo. Scrittore: Sul serio, non capisco come tu possa scrivere per qualcun altro, anzi, come qualcuno, chiunque, possa riuscirci. Voglio dire, è…

Io: 'Spetta, ti aiuto: è una cosa che tu non faresti mai. Scrittore: ESATTO! è proprio così, non ce la farei mai e poi mai.

Io (faccia annoiata, neuroni divertiti): E dimmi, perché credi di no? Scrittore: ma insomma, è chiaro, la scrittura per me è arte, e l’arte non si può…

Qui lo scrittore si blocca; vedo il fumo uscire dalle sue orecchie. Magari, mentre io penso che un impianto elettrico fatto come dio comanda è una gran bella forma d’arte, lui riflette che anche l’architettura lo è, la scultura, la pittura. Io resto muta.

A questo punto, di fronte alla limitazione patente dello scrittore e dei suoi muretti a secco intorno alle quattro certezze che è convinto di avere, io ordino altri tre bicchieri di rosso: per me, per lo scrittore e per uno che scrive da dio.

Poi, anche se ordinare da bere aiuta sempre, cambio argomento prima che le sue sinapsi mi infilino nella cartella neurale dei nemici, tipo black-list, là dove lo scrittore esilia non solo chiunque non la pensi come lui, ma pure tutti quelli che non lo idolatrano bevendo ognuna delle sue cialtronate come fossero argento colloidale anti-tumori.

Passano i mesi. Lo scrittore smette non solo di rispondere alle mie email, ma pure di leggerle. Black-list modalità on. Fine del proto- rapporto con lo scrittore.

 

* "inconcepibile", giuro, ha detto proprio così e considerando che lo scrittore raccontava di avere una laurea in filosofia, non ho altro da aggiungere.

 

** Questo post è stato scritto rileggendo "Come diventare se stessi", di David Lipsky, minimumfax.

 

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Foto del bicchiere di Santa Cristina: Studio Kmzero

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