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Le intelligenze artificiali sono il futuro. Anche della letteratura?



Anche della letteratura?

Davvero?

Forse.


Le intelligenze artificiali sono meravigliose: sono velocissime e potentissime.

Non hanno mal di testa, non si svegliano con il piede sbagliato, non litigano e non ricevono brutte notizie. Mai.


Ogni mattina, le intelligenze artificiali si alzano un po' più intelligenti della sera prima.

Gli esseri umani non sempre.


In più le intelligenze artificiali non si si annoiano, non hanno preferenze, né simpatie o antipatie.

Non ci sono cose che proprio non sopportano fare o umani con i quali hanno zero voglia di passare il loro tempo.

Non discutono gli ordini: li eseguono e basta, senza un fiato.


Quelle umane, comprese le nostre e la tua, sono altalenanti.

Oggi sì, domani no, poi non so, ci penserò.


Le intelligenze sintetiche dipendono da chi e come le nutre.

E da chi e come le usa.

Quindi sì, le AI possono fare molto, per noi, a patto come sempre di usarle cum grano salis.



Su questo punto, chiamiamo l'aiuto del pubblico, tirando in ballo "LA FINE DEI SOCIAL", di Mario Moroni, uscito nell'estate del 2023, e aggiornato a febbraio '24, che scrive:


«Perché sforzarci di scrivere meglio, essere più comprensibili, e/o piacere di più ai nostri lettori se le AI possono farlo per noi, e più in fretta, addirittura intercettando le preferenze specifiche di diversi gruppi di utenti?»




Eh già, perché?

Perché sbatterci, perché passare ore e giorni e settimane e mesi a studiare e leggere, a sezionare libri, a scandagliare formati e cifre stilistiche, se le intelligenze sintetiche possono farlo per noi?


Perché far tanta fatica per scrivere un libro quando un codice può farlo al posto nostro?

“Davanti alle AI noi esseri umani siamo come bambini piccoli che giocano con una bomba", scrive sempre Moroni, citando Nick Bostrom, professore all'Università di Oxford e fondatore del Future of Humanity Institute.


Le intelligenze umane sono lente, variabili, delicatissime perché dipendono da quello che mangiamo, sentiamo, vediamo, ricordiamo, vogliamo e temiamo: fisica, chimica, interazioni sociali, ambientali, corazze caratteriali, energie più o meno sottili, eccetera eccetera; dipendono dal corpo che abbiamo, da quello che facciamo e/o non facciamo; dipendono dalle emozioni che proviamo e dalle condizioni che ci portano a percepirle proprio in quel modo.


Se in un certo giorno, per esempio, il nostro microbiota è in disbiosi, noi, nove volte su dieci, nemmeno lo sappiamo (ce l'ha insegnato Francesco Fratto - autore di "Intestino senza pensieri" e di un altro saggio pazzesco in via di pubblicazione) eppure la nostra intelligenza così come le nostre emozioni (o meglio, le "occorrenze emozionali", come le chiama Lisa Feldman Barrett) ne risentono rendendoci meno intelligenti, meno simpatici, meno tolleranti, illuminati, eccetera.


Le macchine sono macchine.

Per ora, solo macchine.


Non hanno nulla di organico.

Niente pancia, nessun fegato, niente cuore.

Okay, miliardi di dati, tanta schiena e muscoli metaforici, ma no, non sono (ancora) organiche.

Possono avere virus, ma nemmeno l'ombra di un batterio.

Quelle umane coabitano in ambienti composti di più batteri di quante siano le cellule (sempre Fratto!).


In sostanza, le intelligenze umane sono molto meno efficienti di quelle sintetiche, per il semplicissimo fatto che le seconde sono macchine.

Noi e le nostre intelligenze, almeno per ora, no.

Ecco perché quando scriviamo per i nostri autori, lo facciamo usando solo le nostre.


Le intelligenze artificiali saranno il futuro, forse anche della letteratura, ma a oggi, il nostro presente è ancora umano.








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