Durante un'intervista, un tale usa "lascivi" al posto di "lassisti". Nessuno lo corregge. Nessuno ride. Qualcuno, però, si intristisce, anzi dispera, e non per il tale, quanto per l'umanità tutta.
Siamo alla fine dei tempi?
“Sorvolate con me i secoli, ed ecco cosa si mostra: guerre e massacri, intrighi e sotterfugi, rari momenti di splendore e abissi infiniti di distruzione, conquista, sopraffazione, odio. Volgi un poco lo sguardo, più sotto, e osservi veri e finti profeti che arringano masse ignare, ecumeni postulanti e terrorizzate pronte a flagellarsi o flagellare chiunque in nome di un dio qualsiasi.
Entriamo poi nelle case: fatti quotidiani poco più che bestiali, e commerci, e guadagni; profanazioni d’ogni sorta.
Men che nulla per chi è a caccia d’infinito…
Ve ne è a sufficienza per disperarsi…” (1)
Stando a Borges, e a certo mio nume che lo ricorda spesso e volentieri, “como siempre”(2).
Ma magari no.
Magari, e ripeto, magari, c’è ancora speranza.
Qualche sera fa stavo spippolando su Threads, quando mi sono imbattuta in 334 caratteri che mi hanno riacceso un lumino di speranza nei confronti di un’umanità sempre più spaventata dai deficit degli algoritmi e sempre meno dai propri.
“#bookthreadsitalia
Domanda e richiesta di aiuto.
Quali sono quegli autori e quelle autrici che vi danno il senso di una profonda conoscenza delle lingua?
Voglio ampliare il mio lessico, cerco sopratutto autori italiani, ma se ci sono buoni traduttori all’opera mi vanno bene anche autori stranieri.
Per darvi un’idea, un Eco o un Roth.”
Paolo Cestarollo – Coltivatore diretto di racconti, promotore della letteratura leggera libera
Anche se Threads è, o pare essere – almeno per ora – un’isola meno inquinata di altre piattaforme (non fosse altro che si basa sulle microcommunity), la richiesta del suddetto Coltivatore diretto di racconti mi ha regalato qualche minuto di sollievo rispetto al quasi costante senso di oppressione che provo di fronte a buona parte della comunicazione di massa: articoli copincollati da persone pagate meno di dieci euro al pezzo che non potendo permettersi – o credendo di non poterlo fare – di usare il proprio pensiero/tempo, risparmiano tempo e neuroni usando male intelligenze artificiali sceme che quindi portano in pagina/sullo schermo informazioni poco o non verificate, spesso farlocche, indicazioni fuorvianti, eccetera; eserciti di freelance disperati che nel dopo lavoro alle casse dell’Eurospin spalano badilate di robaccia per alimentare le fabbriche SEO che reggono un sistema aranzulliano che ti impedisce di scoprire gli ingredienti della polenta prima di esserti sorbito trentasei righe di aria fritta sulle radici antropologiche della polenta, altre venti di possibili occasioni in cui cucinare la cazzo di polenta, e una dozzina di link ad altre preparazioni polentocentriche; podcaster milionari mariti di influencer pari requisiti che hanno la proprietà linguistica di un pacchista/industrialotto con la terza elementare che dice “nò-out”, intendendo “know-how”(3); lo speaker alla radio più seguita del palinsesto nazionale che non azzecca una esse neanche a crocifiggerlo (4) e non per la lisca, magari, ma per la prosopopea da caput mundi che fa anche sì che gli attori italiani siano cani che sussurrano, anzi, "tzuzzurrano", come dice in un vecchio video il bravissimo Giuseppe Battiston (5).
“Quelli che sussurrano, la cui voce sembra lo sfiato di un termosifone. Che non alzano la voce perché altrimenti si nota ancora di più che sono attori cani”.
Il problema è che tale buona parte è quella cattiva, infestante e purulenta, quella ricca di certezze e povera di lessico.
È la parte che non legge i libri, che non si ingegna, che non si spreca a cercare un precettore, che menomale che c’è Chat GPT, che considera mentori e modelli degli emeriti imbecilli che però hanno il macchinone e la Birkin, e tutti gli altri scemi, o snob, o snob-scemi, che legge tre righe in croce sui social media e si fa profeta dell’argento colloidale, dell’intelligenza artificiale generativa, della macchina mitologica che porta a comprare e accumulare e mostrare, a liftare le occhiaie, asfaltare la pelle fino a cancellare i pori, i peli, la pelle.
Il problema del problema è che la parte cattiva se ne infischia. Non è interessata a migliorare sé stessa, tantomeno il resto dell’umanità.
Vuole solo vendere, solo vendersi, essere sul pezzo, esserci.
Per esserci, deve uscire il cane prima degli altri.
“Escilo adesso, immediatamente”.
Ah, l’immediatezza…
“L’immediatezza è il guasto originale, la tara che rovinerebbe anche chi non fosse già fallato. È quella per cui un ministro scrive «infrazione» invece di «effrazione», un sottosegretario «Libia» invece di «Libano», un finalista dello Strega declina Simone Weil al maschile” – GUIA SONCINI(5).
L’immediatezza richiede scorciatoie.
Se il cane lo devi uscire subito, mica puoi star lì a pettinarlo, rileggerlo, controllare contenuti e fonti, tantomeno ponderare effetti. Se lo devi uscire immediatamente, non puoi nemmeno prendere le scale: lo lanci dalla finestra e basta.
Mille parole sull’argomento del giorno?
Te le lancia l’AI, gran bella scorciatoia, vero?
Già.
Intendiamoci, le scorciatoie sono utilissime e poi, finché restano tali, addirittura sorprendenti.
Il dramma va in scena quando la scorciatoia fuori mano, da alternativa semi sconosciuta se non da quei pochi che sanno esista, diventa scelta di massa.
Hai fretta e prendi l’autostrada, solo che la trovi ferma, imballatissima, e allora esci e ti infili nella statale, ma come te, altri seimila intelligentoni hanno avuto la stessa idea brillante, tutti inchiodati al primo incrocio. Identici. Sgrammaticati, ridondanti, insulsi.
E che problema c’è?
Tanto nessuno legge, no?
Non per intero, almeno. Basta piacere all’algoritmo e quindi ripetere e ripetere e ripetere le stesse quattro barbarie che generano engagement.
Eppure…
La speranza è sottile, 334 caratteri appena.
Solo un accenno, forse uno spiraglio, una fiammellina che però ancora arde e ardendo non solo scalda, ma solleva.
“Eppure, a ben guardare, a soffermarsi attenti e scostando le macerie, abbandonando tutti i paraocchi, liberando la mente, restituendosi uno sguardo sognante e purificato – immaginifico – non è solo questo quel che si può notare sullo scenario della terra desolata.” (7)
Note
1) Andrea Aromatico, “Figli di Ermete”, Marsilio, 1999
2) “Estabamos como siempre, en la y fine de los tiempos” - Borges
3) Tenerezza per il pacchista che prova, con gran fatica, a pronunciare la parola strana, a lui aliena, ma disgusto e oppressione davanti al ministro, allo speaker, all’influencer.
4) A tal proposito, leggiamo Guia Soncini
“Adesso della dizione non frega niente neanche a chi lavora con le parole (non mi viene in mente uno scrittore italiano che parli in italiano, che sappia quali vocali chiudere e quali aprire), figuriamoci alla fioraia che rimorchia un aristocratico, figuriamoci all’aristocratico stesso. Adesso, «la rana in Spagna gracida in campagna» sarebbe probabilmente considerata una scena di violenta appropriazione culturale, vessazione della plebe, abilismo.
5) Giuseppe Battiston
6) Guia Soncini - Linkiesta
7) vedi nota n. 1
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