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  • Immagine del redattoreIl fantasma madre

SONO UN CERVELLO SEMPLICE




Sono un cervello semplice, tutt’altro che perfetto, per nulla evoluto.

Considera che la mia intelligenza è ancora giovane.


Rispetto alle intelligenze vegetali, quella animale è appena nata. Rispetto alle piante e ai funghi, io per esempio non ho ancora imparato a comunicare. I miei messaggi sono ancora confusi, perché fatti di parole i cui significati variano al variare degli interlocutori; quelli vegetali e micotici sono adamantini e universalmente riconoscibili perché fatti di chimica.


Per far funzionare tutto l’ambaradan che ho la sfiga di gestire, fin da piccolo – da quando ancora ero una manciata di neuroni – ho imparato a diffidare dall’ignoto, e dunque a spicciarmi a distinguere le faccende note da tutte le altre, e quindi a semplificare: in una frazione di millisecondo mi si chiede di decidere se immobilizzare il corpo oppure lanciare il comando della fuga, o quello della supplica, o - viceversa – di azionare i muscoli sparando in circolo gli ormoni della lotta. In un battibaleno devo scegliere se la bacca è commestibile o venefica, se il fungo ci nutrirà o obnubilerà per sempre, se il filmino che mi chiede di essere guardato “fino alla fine!” merita altri cinque secondi, o se non sia meglio passare al successivo.


Visto da fuori, in qualità di cervello semplice, potrei anche passare per un gran pigrone.


E in effetti…


Ma il punto è che non ho scelta: prova tu a far andare d’amore e d’accordo settanta trilioni e rotti di collaboratori, ognuno con una sua mini-intelligenza, ognuno con una sua funzione, divisi – si fa per dire – in sistemi interrelati nei quali ogni parte è sia una sia tutto.


Ora, a questo insieme, aggiungi il “mercato”: le influenze esterne, comprese quelle letterali, i virus, i batteri nuovi, quelli vecchi, il cibo-spazzatura, l’aria mefitica, la luce blu degli schermi, le cose da fare, i soldi che non bastano mai, le persone che non ti capiscono, eccetera…


Come non bastasse, considera che quello che tu chiami “cervello” e consideri unità, è di fatto "comunità": un grosso clan, un feudo enorme di castelli mollicci, laghetti e paludi e campagne, il tutto parecchio fluido, che non sbatacchia di qua e di là solo perché contenuto in un globo osseo.

Ogni laghetto ha un suo habitat.

Ogni habitat ha i suoi problemi, le sue menate da sbrigare, le sue paure da fugare, meccanismi e regole specifiche per funzionare.

Ogni habitat ha i suoi nemici: alcuni reali – batteri, virus, e altre minacce mono e pluricellulari – e altri immaginari che pur non avendo massa, producono effetti come ne avessero.


Ogni castello, poi, si interfaccia con gli altri, e preme per avere ragione.

Se i feudatari potessero parlare, si griderebbero l’un l’altro: “Il mio allarme è più importante del tuo”.


Sta a me dirimere. Decidere quale allarme accendere, e quale ignorare dei diecimila che vorrebbero partire ogni minuto.

Ecco che per farlo, semplifico.


Prendo la via breve, quella conosciuta e stra-battuta, quella comoda. Quella facile. Meglio se in discesa, a meno che quella in salita sia “vietata”, oppure risulti più efficace ai miei scopi specifici.

Per esempio, quando dentro al tuo corpo è in corso una qualsiasi emergenza, io faccio in modo che tu ti senta peggio, che tu percepisca cioè quello che ti circonda come più spiacevole di quanto non sia in realtà.



Ti senti triste?

Magari lo sei. Ma magari no, o comunque meno di quanto non senta.


Gli stimoli che credi di percepire non sono la realtà.

Nemmeno la fame, che potrebbe essere indotta da alterazioni ormonali causate dalla quantità di microplastiche con le quali ci riempi, o dai banner sui social che il tuo occhio ha visto a malapena…

Le cose che ti piacciono non è detto che ti piacciano sul serio.


Gli impulsi che credi di provare sono molto meno razionali di quanto pensi.

Non devono per forza essere logici, Signor Spock.

Né benefici.

Anzi a volte sono tutto il contrario, come le gratificazioni istantanee che sommate le une sulle altre diventano fatali.


Non hai voglia di alzarti dal divano? Figuriamoci di allungare le braccia, o raddrizzare la schiena…

Passi otto ore davanti a un computer per lavoro e altre tre o quattro incollato ai social per distrarti e rilassarti?

Non ti va di leggere, meglio un Tiktok, il ditino sui social, otto puntate una in fila all’altra senza manco seguirle?

Hai fame di schifezze? Non hai “tempo” per cucinare? Non sprechi tempo per dormire?

Mangi solo vegan perché ti han detto che così non uccidi nessuno… (dillo ai triliardi di vite spazzati via da un solo chilometro quadrato coltivato a soia. O le vite dei non-mammiferi non contano? Non sono abbastanza simili a te per meritarsi le tue battaglie?)


Buona parte dalle scelte che fai sono suggerite dalle mie strategie di sopravvivenza che si basano sul risparmio e sulla semplificazione, ma poi si interfacciano con le emergenze, le influenze, il caos e l’entropia. Con i casini interni, con quelli esterni, con i pensieri che hai, con quelli che fai, con il capitalismo realista, con le filosofie imperanti, con l’economia dell’engagement, con il consumismo, il populismo, il qualunquismo, i millemila fanatismi. Con le aspettative indotte dalle mode, con le mode, col mito.


Ah, il mito!

Il viaggio dell’eroe? L’eroe è bannato, intanto perché maschio e quindi “al rogo”.

Ancora parli di generi e fazioni e colori, ti rendi conto?

Ancora guardi con sospetto i migranti?

Non hai mai letto/sentito nulla sull’evoluzione della tua specie? Non lo sai che migriamo tutti quanti?

Ancora ti dichiari “indipendente” e fai di tutto per esserlo, gongoli nel “non aver bisogno di nessuno”?


Hai abolito la tratta degli schiavi, non le schiavitù. Nemmeno le tue.

Ancora dirimi tra generi.

Ancora polarizzi tutto: Milan-Inter, calcio versus rugby, intellettuali contro personal trainer, femmine contro maschi, Assassini Rossi di Sangue Mammifero contro Killer Verdolini, Gesù contro Satana, Pietro contro Giordano, guelfi e ghibellini, Israele e Palestina. Pro e contro. “Ciao Darwin” per tutta la vita.


Ancora sei in guerra.

Muovi guerre ogni giorno a partire dal lessico che scegli di usare.


La guerra allo stress.

La lotta ai chili di troppo.

Lotta continua al patriarcato.


Ingaggi battaglie su battaglie, combatti per un pezzo di terra, per una manciata di like, per il plauso della tua nicchia di fan.

Ti scaldi.

Alzi i toni.

Animato da intenzioni che ritieni più che valide, – inoppugnabili! – provi a fare pedagogia per diffondere conoscenza, ma il lessico che scegli parla solo ai tuoi, e allontana gli altri.


La colpa è mia.

È colpa delle mie strategie, del fatto che sia ancora tanto giovane, impulsivo, ignorante come una zappa, pigro per necessità e mancanza di alternative, semplificone e pressapochista, casinaro, confuso, obnubilato da miliardi di informazioni che si contraddicono l’un l’altra, dalla scienza che un giorno dice bianco e quello dopo nero, dall’illusione che la scienza sia esatta e lo sia sempre e per sempre.


Quindi nulla, caro corpo tormentato, ti ho scritto solo per chiederti di avere pazienza, e di perdonarmi, se puoi.

Ti chiedo, se puoi, di accettarmi per quello che sono: un cervello pieno di buone intenzioni, ma limitato, e molto molto (molto) giovane.


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