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De gustibus est (parecchio) disputandum



stanza con tavolo ovale allungato, sedie Panton chair, libri riposti in cassette della frutta, orecchie di lupo cecoslovacco
immagine distorta della stanza del fantasma, senza fantasma


Leggere un certo tipo di libri e dichiarare di apprezzarli significa accettare di metterci addosso un bersaglio. Qualunque sia il tipo.

Ci pensavo giusto qualche giorno fa.

Stavo leggendo “The shaping of character” di Charles Schifano, scrittore che leggo qui, conosciuto nel mare magnum di LinkedIn. Nel pezzo di Charles ho ritrovato una distorsione cognitiva più volte sperimentata in prima persona, sia nel ruolo di giudice, sia nell’altro, di condannata, rispettivamente per le preferenze altrui e per le mie.


Dichiarare le nostre preferenze artistiche, così come mettere in discussione quelle degli altri, secondo quello che ho capito del pezzo di Charles Schifano, ha a che fare con l’identità. In pratica con l’immagine che vogliamo dare al mondo.

Stralcio di conversazione numero 1.

«Hai già letto la Tobagi?»

«Eh?»

«La Tobagi, Benedetta Tobagi, “La resistenza delle donne”.»

«Veramente non…»

«Non ci credo! Cioè, ha vinto il Campielloooooo!»

«Okay ma non l’ho letta, non ancora.»

«E Piazza Fontana? La scuola salvata dai bambini? Una stella incoronata di buio? Non dirmi che non hai letto neanche “Come mi batte forte il tuo cuore”?»

«L’ultimo sì, mille anni fa, ma mi sembra di averlo letto.»


Stralcio numero 2, 3, 4, eccetera.

«Ma sul serio ti è piaciuto Fiori sopra l’inferno?»

«Non dirmi che non hai capito che la letteratura tossica e maschiocentrica di Philip Roth è un inno al patriarcato?»

«Ah, tu leggi i romance, in pratica i nuovi Harmony?»

«Solo saggi? Perché secondo te la fiction è spazzatura?!»


Vale per la letteratura, fiction e non fiction, e vale anche per tutti gli arti prodotti artistici.

Se ci piace l’arte moderna, ecco qualcuno pronto a dirci che la classica non ha paragoni e che quella che andiamo a vedere noi non è arte.

«Ma dai, una tela strappata… Sarà mica arte quella lì!»

«Veramente Fontana è stato…»

«Sì sì, come ti pare, comunque sarei capace anch’io.»


Se non ci piace la musica classica, la Trap, la Tecno, se non conosciamo il tal pezzo del tal artista… Se per noi il rock è Elvis, se Elvis ci fa pensare al nonno e nel nostro universo acustico c’è solo Sid Vicious… Se ancora chiediamo a Spotify di farci ascoltare Money e andiamo in brodo di giuggiole ancora prima che parta il pezzo…

A ogni preferenza, un label. Ogni gusto, un’etichetta.

Se ci piace Sophie Kinsella, siamo lettori da Autogrill.

Se ci piace David Foster Wallace siamo pretenziosi. Se non lo conosciamo, fine del dialogo. Se lo conosciamo e non ci piace, siamo pazzi.

Se ci è piaciuto Possiamo salvare il mondo, prima di cena, ci piace la penna di Jonathan Safran Foer, magari è perché sotto-sotto siamo vegani.

Se parliamo del Pianeta Inabitabile, -The Uninhabitable Earth: Life After Warming - di David Wallace-Wells siamo poveri creduloni che non vedono le cospirazioni mondiali.

Se non ci è piaciuto uno degli ultimi due-tre* Premi Strega, o se ci fanno orrore buona parte dei best-seller spacciati per tali, ci guardano male e sotto sotto si chiedono se la nostra non sia solo invidia.

The shaping of character” inizia così.


 

“Ecco un'affermazione piuttosto diretta che è quasi certamente vera: non c'è mai stata una maggiore scelta artistica.

Che si tratti di film o di design, di romanzi o di musica o di qualsiasi altro prodotto creativo immaginabile, siamo tutti minuscoli nuotatori in un oceano di arte, il cui livello si alza ogni giorno di più. Siamo in mezzo a un diluvio di creatività, come è ovvio osservare, e facciamo [una gran]fatica a rimanere a galla, banalmente a conoscere gli ultimi libri, film e album, ad avere consapevolezza di tutta la nuova arte che spunta qua e là nel mondo.

Ecco un'altra affermazione piuttosto diretta, almeno plausibilmente vera: sulle preferenze artistiche, non c'è mai stato tanto antagonismo.

Metti un piede fuori, alza la testa, guardati intorno e sentirai le urla: la musica che ti piace è sbagliata e i libri che adori sono problematici e i film che trovi accattivanti sono offensivi e i dipinti che ti toccano sono, beh, a quanto pare, tutti i dipinti sono ormai passati. Non c'è molto di illegale - almeno non a questo punto - ma c'è un elemento sociale nelle preferenze, con disapprovazione, castigo e rimprovero come metodi di applicazione. Oggi, goderci tranquillamente le nostre preferenze [e diffonderle]significa, a quanto pare, offendere chi non è d'accordo. Se per caso ti piacciono gli artisti sbagliati, devi essere fermato.

A prescindere dalle mie considerazioni su queste due affermazioni, a prescindere da quanto io cerchi di essere empatico nei confronti delle voci più stridenti e sincere della vita contemporanea, la faccenda mi suona strana.


Avere una quantità infinita di arte e contemporaneamente altrettanta ostilità nei confronti dell'arte non è letteralmente una contraddizione, ma ne ha tutto l’aspetto.

Come è possibile che aumentino sia le scelte che l'antagonismo? Non dovrebbero essere variabili simbiotiche? Perché potrei almeno capire se le sedie di questo musical venissero spazzate via, con meno libri, film e canzoni presenti nel mondo. Ciò implicherebbe una maggiore concorrenza e significherebbe che la scelta di un estraneo si sottrae alla mia scelta. Per il consumatore artistico, invece, la situazione non è questa: le preferenze potenziali continuano ad aumentare in una cascata infinita di nuove creazioni. In parole povere: perché tanto clamore? Quando ascolto musica o mi impegno con un artista, non minaccio l'esistenza di altra musica o di un altro artista.”

[…]


E poi continua, chiudendo con uno specchio.


 

“Per coloro che insistono a definire il carattere in base ai gusti artistici, probabilmente non c'è molta accuratezza nelle interpretazioni: le categorie create sono tanto vuote quanto chi le crea.

L'arte può scatenare sentimenti, forse toccare l'intelletto, può persino generare passione, ma non definisce il carattere.

Anche se una volta che credi di formare il tuo carattere in base a gusti estranei a te stesso, sei costretto a difendere quei gusti come difenderesti il tuo carattere. Perché, dopo tutto, non c'è nulla sotto l'apparenza e un solo graffio potrebbe rivelare il vuoto interiore. Le dichiarazioni sull'arte diventano dichiarazioni di desiderio: come vuole essere percepito chi parla, che status vuole rivendicare, che identità desidera. Ciò che viene descritto in tutti questi gusti artistici - nella separazione dell'arte problematica, nella definizione dell'arte offensiva - non è davvero pertinente all'arte, ma è semplicemente un riflesso dello spettatore, che è un po' come guardarci allo specchio e incolpare lo specchio per ciò che vediamo**”.


 


Il 28 settembre è il mio compleanno. Fammi un regalo, anzi due: leggi un libro che pensi non ti piaccia (regalo numero 1) e dopo averlo finito scrivimi (numero 2).


* Circa gli ultimi 5 Premi Strega:

  1. "Come d'aria" di Ada D'Adamo mi ha fatto impazzire, mi ha sciolto, mi ha distrutto, mi ha ridotto uno straccio, premio 2023.

  2. "Spatriati" l'ho ascoltato in audiolibro e mi ha rattrappito la faccia in una serie di smorfie poco carine. Molto poco carine.

  3. "Due vite" no comment.

  4. "Il colibrì" magnifico: innamorata.

  5. "M. Il figlio del secolo": chapeau!

** La traduzione è mia, non autorizzata dall’autore.

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