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  • Immagine del redattoreIl fantasma madre

Fantasmi, principi e princìpi

Aggiornamento: 20 feb


Disegnino su spunto dell'originale, nelle note, realizzato con la matita della ghostwriter

È l'estate del 2022, sono le due del mattino, e uno scrittore si sta sforzando di tenere la bocca chiusa mentre fissa la faccia del suo autore di là dal computer.

L'autore ha appena e di nuovo ricominciato a fare i capricci su una frase che vuole a tutti i costi.

Punta proprio i piedi: pretende che ci sia.

Ne parlano da mesi, quasi due anni ormai, e ogni volta lo scrittore prova a spiegare al pretendente che metà dell'arte del memoir è tralasciare.

Il memoir non è un punto elenco tipo Wikipedia e nemmeno una cronaca precisa al capello di tutti-ma-proprio-tutti gli eventi rilevanti della tua vita.


E poi, vorrebbe dire lo scrittore, hai scelto me e la mia penna, giusto? Ecco, allora fidati.

Senti, vorrebbe aggiungere, non è che quando vai da un chirurgo gli dici di usare il bisturi vintage che hai trovato a Camden Town. Giusto? Ecco, e nemmeno di seguire la procedura che hai letto su Wiki-how, anche perché, scusa se te lo ricordo, ma se il tuo mestiere non è fare il chirurgo, ti fidi e basta.


In effetti gliel'ha già detto, più volte: "fidati di me, fidati del libro". Peccato che l'autore non ci senta perché mentre lo scrittore gli spiegava perché non metterla, l'autore accettava (faceva finta di accettare) i consigli, salvo poi, giorni o settimane dopo, tornare sul file e rimettere la maledetta frase.

Di nuovo, da capo, e ancora e ancora, come il telaio di Penelope manomesso però dal procus/pretendente.

Penelope tesse trama e ordito, un filo alla volta, e il pretendente mette le sue zampe e fa un casino della Eva.

Finché, alle due e rotti di un mattino dell'estate del '22, lo scrittore sta appunto per perdere l'ultimo refolo di pazienza. Una parte di lui è ancora in grado di staccarsi dalla contingenza per guardarsi da fuori e recuperare la calma ripetendosi che non è il suo libro; tutte le altre parti, invece, sono a un passo dal mandare a Patrasso l'autore, il suo memoir, e il colossale investimento su entrambi.


"Secondo me ci va".

"No che non ce la mettiamo".

"Invece sì".

"Ti dico di no e ne abbiamo già parlato e tu dici sempre okay, okay, allora facciamo come dici tu".

"Ma io la voglio".

"Perché la vuoi?"

"Eh, perché… perché è tutta la vita che non mi prendono sul serio e quella frase mi serve a dimostrare che non sono scemo, ma proprio per niente".

L'autore continua dicendo che è stufo marcio di non essere considerato un'aquila e siccome ritiene che la frase sia particolarmente sagace, la vuole. A tutti i costi.

"Capisco," dice lo scrittore, "ma niente da fare" e quindi ricomincia a spiegare, from the beginning, che non sarà quella specifica frase a cambiare l'opinione che il mondo ha di lui, ma renderà la scena (e per estensione il memoir) solo meno efficace.



Lo scrittore è J.R. Moehringer e l'autore/procus-pretendente è il principe Harry, duca di Sussex e quinto nella linea di successione al trono di Inghilterra.


J.R. non è al suo primo rodeo: oltre all'articolo che nel 2000 gli ha fruttato un Pulitzer(1), ha scritto Il bar delle grandi speranze (2005), Pieno giorno (2012), Oltre il fiume (2014), e Il campione è tornato (2015).

Tra una pubblicazione e l'altra, ha fatto il ghostwriter per Andre Agassi, in "Open", e per Phil Knight, con "L'arte della vittoria".


Il punto però è che J.R. non è uno ghostwriter.

Chiamato da Agassi, Knight, e dal principe Harry, J. R. ha accettato di fare il loro ghostwriter, ma il suo mestiere è scrivere per sé stesso, cosa molto molto moooolto diversa da vivere scrivendo su commissione.

Come dire: J. R. è un genio, sicuro come l'oro, ma non è abituato a lavorare conto terzi.

E infatti, povero genius (e uso genius in senso letterale, dal verbo latino 'geno', generare, creare, che sta quindi per forza naturale creatrice), scrivere "Spare" per il principe Harry dev'essergli costato un rene. E notti insonni, e mal di pancia e cefalee a grappolo e tremebondi giramenti di pelotas, oltre a rabbia, frustrazione, delusione, sconforto, acidità di stomaco, profonda profondissima tristezza in prospettiva: per tutto quello che il memoir può e poteva essere e non è e non sarà.


Lo so perché la scrittura su commissione è il mio unico mestiere sin dall'anno '13, e poi perché ho letto le 6875 parole che J. R. ha pubblicato sul New Yorker nel maggio del '23.


Nell'articolo Moehringer riporta la scena, ma non la frase.


Il Principe Harry aveva subito un finto rapimento organizzato per testare la sua resistenza. Durante la simulazione era stato incappucciato, denudato, malmenato, maltrattato, per 72 ore, pare, e pesantemente insultato da uno dei finti rapitori che aveva tirato in ballo sua madre, la principessa Diana. Finita l'esercitazione e spiegato che si trattava appunto di una farsa a fin di bene, i rapitori si erano scusati per aver passato il segno nominando la mamma. A quel punto, il Principe aveva risposto con una frase che poi aveva preteso di riportare alla fine del passaggio.


"Spare" è uscito e J.R. alla fine è riuscito a cassare la frase.

Nell'articolo del NY racconta quanto gli sia costato.


"Più tardi quella mattina, dopo qualche ora di sonno, mi sedetti fuori a preoccuparmi. (Le mattine sono il mio momento di preoccupazione, insieme ai pomeriggi e alle sere). Non mi preoccupavo tanto della correttezza di discutere con i principi, e nemmeno dei rischi. Uno dei compiti principali di un ghostwriter è quello di avere la lingua lunga. A volte vinci, altre perdi, ma devi continuare a insistere, non diversamente da un genitore esigente o da un allenatore tirannico. Altrimenti, non sei altro che uno stenografo glorificato, e questa è slealtà nei confronti dell'autore, del libro e dei libri. L'opposizione è vera amicizia, scrisse William Blake, e se dovessi scegliere un credo per il ghostwriting, sarebbe proprio questo. No, più che la correttezza di seguire Harry, stavo mettendo in dubbio la foga con cui l'avevo fatto. Mi sono rimproverato: non è il tuo passaggio. Non è tua madre. Per la millesima volta nella mia carriera di ghostwriter, ho ricordato a me stesso: non è il tuo fottuto libro".

"Non è il mio libro", ci racconti di esserti detto e ripetuto.

Va bene, J.R, è vero che non è il tuo libro, ma quando scrivi per una persona devi avere il coraggio di farlo per lei, anche se non lo capisce, e anche quando non è d'accordo.

Se questo coraggio ti manca, fai un passo indietro.

Se la persona per cui stai scrivendo si impunta, se pesta i piedi, se ti minaccia, di passi indietro fanne tre: meglio perdere un lavoro che farle del male.


Quando fai lo scrittore fantasma a tempo pieno, e non nei mesi tra un tuo libro e il successivo, la prospettiva cambia.

La produzione pure.

I ghostwriter a tempo pieno, almeno quelli onesti, per esempio, quando scrivono le memorie di un antennista, non si tengono le idee migliori nel cassetto, ma le danno all'antennista. Tutte quante. Pronti a correre il rischio di non avere più una fava da dire per l'antennista che verrà dopo.


I ghostwriter onesti hanno il dovere di far capire all'antennista perché un certo aneddoto (o una certa frase, o un certo passaggio) che l'antennista pretende di inserire potrebbe fare più male che bene.

Hanno il dovere di spiegargli perché, usando parole che gli suonino familiari.

Come? Per esempio, con un esempio dal suo universo: tu che sei un antennista, cosa dici a qualcuno che pretende che tu gli installi l'antenna in cantina?

Ma una volta fatto (o dieci o venti), hanno anche anche il dovere e l'onestà di ignorare gli eventuali capricci dell'antennista.



Tutt'altro che facile. Come dice J.R. Moehringer,

[...] "le cose possono andare storte in fretta. Un autore potrebbe non sapere niente di scrittura, ed è per questo che ha assunto un fantasma. Ma potrebbe anche avere la sicurezza letteraria di Saul Bellow, e buona fortuna se vuoi dire a Saul Bellow che non può proprio descrivere un interessante movimento intestinale che ha sperimentato anni fa, come ho dovuto dire una volta a un autore. Quindi combatti come un matto, ti dico, ma ricorda sempre che se la situazione si fa critica nessuno ti coprirà le spalle. Sia dentro il libro che fuori, nessuno vuole sentire parlare dello stupido ghostwriter. [...] Molte delle cose che ho letto sul ghostwriting, per lo più da parte di ghostwriter affermati, non corrispondono alla mia esperienza".

[...]

"Gli autori si vergognano di aver bisogno di qualcuno che scriva la loro storia e questa vergogna li spinge a comportarsi in modo vergognoso. Gli autori pensano che potrebbero scrivere il libro da soli, se solo ne avessero il tempo, e quindi non sopportano di dover pagare qualcuno per farlo. Gli autori passano la loro vita a proteggere i loro segreti e ora arrivi tu con il tuo taccuino e le tue domande fastidiose e improvvisamente devono alzare il sipario? Boo. Ma se tutti gli autori trattano male tutti i fantasmi, mi sono chiesto, e se il libro non è tuo, perché non incassare l'assegno e andare avanti? Perché fa così male? Non ricordo che nessuno abbia avuto una buona risposta a questa domanda. [...] Chi sono io per dare delle regole? Forse l'alchimia di ogni accoppiata fantasma-autore è unica. Per questo motivo, mi limito a ricordare agli interlocutori che il ghostwriting è un'arte e li esorto a non lasciare che coloro che lo definiscono approssimativo, losco o di moda (esiste da migliaia di anni) offuschino il loro orgoglio. Dico loro anche che stanno fornendo un servizio pubblico vitale, contribuendo a sostenere l'industria editoriale, visto che la maggior parte dei titoli presenti nella classifica dei best-seller di questa settimana sono stati scritti da qualcuno che non è l'autore".

Vero, J.R., tu sei uno scrittore e un genio, non un ghostwriter.


Invece, un ghostwriter è un produttore di testi conto terzi, cioè una penna che scrive su commissione. Per lo più libri, ma anche discorsi, articoli, eccetera.


Legge. Tanto, di tutto, in continuazione.

Disegna: idee, storie, persone, carriere, mondi.

Progetta e costruisce.

Intonaca e ristruttura universi.

Scrive, riscrive, taglia, toglie, fa le pulizie e mette in ordine.

Uno scrittore fantasma è una penna che produce libri che non firma.

A volte parte da un titolo e una scaletta, altre (per me quasi sempre), raccoglie le parole dei suoi autori e dà loro la forma giusta. Non la migliore, solo la più adatta per l'autore in corso d'opera.


Un bellissimo termine per descrivere questo mestiere è il francese prête-plume, penna pronta.

Prête, come prêt-à-manger, prêt-à-porter, prête- a trovar le parol plus giust' al moment' giust'.

E anche prête a salutar l'autor, au revoir.


Ma su una cosa, io e te, io nessuna e tu Pulitzer, siamo d'accordo:


"Quello che mi riusciva meglio, ho scoperto, era scrivere per gli altri".



 

Notes from Prince Harry’s Ghostwriter

maggio 2023

NEW YORKER


(1) - Il Pulitzer l'ha portato a casa con un «ritratto di Gee's Bend, una isolata comunità fluviale in Alabama dove vivono molti discendenti di schiavi, e di come la loro vita possa cambiare in seguito all'arrivo di un traghetto verso la terraferma».



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