top of page
  • Roberta Giulia

"Non si può nascere, ma si può morire innocenti."


"Non si può nascere, ma si può morire innocenti."

(Cristina Campo)

Non si nasce innocenti, né certo ci si cresce. A qualcuno, tuttavia, è concesso di morirci, innocente. Se nasci e cresci cacchina, non sei costretto a restare stronzo per tutta la tua esistenza, rendendo infelice – oltre alla tua – pure l’esistenza di chi ti gira intorno.

No, davvero.

La cosa incredibile è che, se a un certo punto prendi coscienza (da solo, come Paolo folgorato sulla via di Damasco) della tua medesima stronzitudine, puoi anche decidere di darci un taglio, tirar lo sciacquone e – passato un po’ di CIF o di Viakal – provare a ripulire il tuo panorama.

Sì, non è che sia proprio una passeggiata e per riuscire nell’impresa, tocca che al pronti via uno si renda conto di aver bisogno di metterci mano, al proprio water esistenziale.

Qui, once in a while, oggi e solo oggi, non ne faccio una questione di genere, ma d’intento: il sesso, che pur c’entra sempre, qui non conta.

Ciò che conta è che se uno o una s’accorge di aver qualche tara (o un sacco di tare), tocca che si svegli e cerchi di levarsele.

Se sei stronzo, e racconti balle su balle da una vita, ma magari un bel dì ti dici che sei stanco, non sei mica costretto a vestire i tuoi stessi panni fino alla sepoltura.

Lo sapevi?

No?

Adesso sì.

Se sei acida, puoi provare ad abbasicarti un po’, molando gli spigoli, addolcendo i toni o inghiottendo quei rospi che hai sempre sputato addosso agli altri.

Se sei un ego-ista, ego-centrico, egotrofico e oltre a te non hai mai cagato nessuno, o amato, o rispettato, puoi (ADDIRITTURA!) iniziare a guardarti intorno e a pensare che alla tua destra e alla tua sinistra e sopra e magari sotto ci sono degli esseri umani che si sono stufati della tua spocchia, dei tuoi modi e delle tue regoline del piffero, che se non si fa come dici tu, allora niente. E cambiar strada. Approcci. Metodi. E sistema.

Torniamo alla Campo.

Lei, che scrisse il mio titolo di oggi, si chiamava Vittoria Guerrini, in arte Cristina Campo; nata negli anni Venti e seccata alla fine dei Settanta, fu scrittrice (pubblicando pochissimo), traduttrice (tra gli altri, della Mansfield, di John Donne e della Woolf) e sublime poetessa.

Fu la compagna e musa ispiratrice di Elèmire Zolla, una fra le più illustri penne mistiche/esoteriche dell’epoca (e mio scrittore preferito fino alla lettura della biografia della Campo con la quale presi in odio lui e m’innamorai di lei).

A lei, e a un verso nella raccolta “La tigre assenza”, la sottoscritta deve anni di religioso silenzio sulla declinazione in prima persona del verbo amare:

“Ti ho barattato, Amore, con parole”. A lei, oggi, io tributo il mio pezzo.

A lei e agli uomini che le spezzarono il cuore, una ferita dopo l’altra, fino a seppellirla.

121 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti
bottom of page